JOBS ACT... TUTTE LE NOVITA'
Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera definitivo a due decreti attuativi del Jobs Act.
Dal primo marzo si entra così nel vivo: le aziende potranno assumere lavoratori avvalendosi di questa prima tranche di nuove regole, cioè quelle relative al contratto a tutele crescenti e il nuovo Naspi, cioè la riorganizzazione del sistema dei sussidi di disoccupazione. All’ordine del giorno anche la prima approvazione al decreto legislativo sul riordino delle tipologie contrattuali che ha abolito alcune tipologie di contratti parasubordinati come i vecchi co.co.co. ed i co.co.pro (sarebbero oltre 200mila i lavoratori interessati) e messo mano all’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori, relativo alle mansioni. Quanto al nuovo ammortizzatore sociale, il Naspi, partirà da maggio e durerà la metà dei periodi contribuitivi degli ultimi quattro anni e dunque al massimo due anni, più della precedente previsione dell’Aspi. Dal 2017, però, il tetto scenderà a 18 mesi. C’è anche il nuovo strumento chiamato Dis-Coll, per i collaboratori con meno di tre mesi di contributi. Esso durerà la metà dei mesi di versamento per un massimo di sei mesi. Vediamo gli elementi che costituiranno il nuovo scheletro su cui si intende formare il mercato del lavoro in Italia. Sin da subito si rileva un’imprecisione, in merito al campo di applicazione del contratto a tutele crescenti, laddove si prevede l’estensione nel caso di “conversione” del contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. Più correttamente, si sarebbe dovuto parlare di “prosecuzione” del contratto e non di “conversione”, tenuto conto che si tratta di un contratto a tempo indeterminato a tutti gli effetti. Probabilmente sarebbe stato più corretto estendere a esso l’applicazione delle tutele crescenti, sin dal primo momento della stipula. Scorrendo il testo del dispositivo, desta stupore la repentina abrogazione del co.co.pro a partire dal 2016 e la possibilità di poter utilizzare questa forma contrattuale solo mediante accordi sindacali, in ragione di particolari esigenze produttive e organizzative. Ci si chiede, sul punto, che fine faranno la moltitudine di contratti a progetto stipulati dai call center per i quali l’abolizione dei co.co.pro. potrebbe significare la perdita del posto di lavoro. Di sicuro, tale scelta non rappresenta una misura per incentivare l’occupazione. Restando nell’ambito dei rapporti di lavoro parasubordinato, viene prevista la possibilità, per il datore di lavoro, di estinguere gli illeciti previsti in materia di obblighi contributivi assicurativi e fiscali in caso di erronea qualificazione del rapporto di lavoro con soggetti con i quali abbia stipulato contratti di co.co.co. o co.co.pro, a patto di procedere all’assunzione a tempo indeterminato di tali soggetti. Tuttavia, non vi è alcun cenno se, anche in ordine a tali trasformazioni, sia estesa l’applicazione delle tutele crescenti. Il legislatore, infatti, dove ha voluto precisare i casi in cui la trasformazione o “conversione” del rapporto di lavoro può dare luogo alle tutele crescenti, lo ha fatto esplicitamente (vedasi contratti a tempo determinato o apprendistato), mentre manca un riferimento anche ai casi di passaggio da lavoratore autonomo a lavoratore subordinato a tempo indeterminato. Anche in questo caso sarebbe stato opportuno prevedere l’applicazione delle tutele crescenti a tutte le ipotesi di trasformazione o riqualificazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Secondo lo schema del nuovo decreto attuativo, che tuttavia dovrà passare anch’esso dal Parlamento, le collaborazioni cambiano profondamente, anche se ci sarà un periodo transitorio che scadrà il primo gennaio 2016. Per il momento ed ancora per nove mesi si potrà continuare ad assumere con quegli strumenti. Sembrerebbe così che la parasubordinazione scompare e viene di fatto assimilata al lavoro subordinato tranne che alcune evenienze stabilite da accordi collettivi. Si salvano le autentiche collaborazioni autonome ed ovviamente le partite Iva, che dovrebbero avvalersi di alcune garanzie della subordinazione come malattia e maternità in caso di reddito basso e monocommittenza. Addio anche all’inesistente job sharing, all’associazione in partecipazione, via alla semplificazione dell’apprendistato e allargamento dei contratti di ricollocazione a tutti i disoccupati. Non ci sono infine modifiche ai contratti a termine, che possono dunque durare al massimo 36 mesi per un massimo di 5 rinnovi. Uno dei decreti contiene anche una previsione che sembra un’assoluta novità, ma che in realtà non lo è affatto. Essa attiene alla possibilità di modificare le mansioni lavorative, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione, mediante la stipula di un accordo individuale in sede sindacale. Peraltro gli accordi di questo tipo sono già una realtà che ormai la produzione giurisprudenziale ha avallato e legittimato da diversi anni e che trova massimo sostegno in una importante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione [1]. Quanto all’applicazione delle tutele crescenti, è confermato che resta limitata ai soli lavoratori assunti a partire dall’entrata in vigore del decreto in esame, dando vita a due diverse discipline per la stessa categoria contrattuale di appartenenza dei lavoratori. Pertanto, per trovare un’adeguata composizione al dualismo che sarà presente all’interno delle aziende, queste ultime saranno obbligate a un più serrato e aspro confronto con le parti sindacali. Inoltre, si pensi alle ipotesi di licenziamento collettivo, laddove nello stesso sito interessato dalla procedura siano presenti lavoratori cui sono applicabili due diverse tutele: coloro ai quali, ad esempio, nel caso di mancata applicazione dei criteri di scelta sarà applicabile il solo regime risarcitorio previsto da Jobs Act, e coloro ai quali, assunti prima dell’entrata in vigore del presente decreto, troverà applicazione la tutela reale. È evidente che ciò produrrà un aumento del contenzioso e un incremento ingiustificato dei costi per le aziende. Sembra più che legittimo porsi forti dubbi di costituzionalità della legge, che è destinata a trovare presto un’armonizzazione a opera della Corte Costituzionale. Se questo intervento legislativo doveva costituire, nelle mire del Governo, il passo più importante per la liberalizzazione del mercato del lavoro, a oggi gli auspicati effetti positivi sembrano molto distanti.